Romanesque façade of the Abbey of Saints Felix and Maurus in Castel San Felice, with carved rose window and clear sky.

Abbazia dei Santi Felice e Mauro

A Castel San Felice, frazione di Sant’Anatolia di Narco, Incastonata in uno scenario dove il fruscio degli alberi si fonde con lo scorrere placido del Fiume Nera, l’Abbazia dei Santi Felice e Mauro emerge come un luogo sospeso tra arte e spiritualità. Qui, tra natura e silenzio, si intrecciano secoli di storia e leggende scolpite nelle pietre di una delle più pregevoli chiese romaniche dell’Umbria. 

Le origini: Mauro e il figlio Felice

Secondo antichi codici manoscritti provenienti dall’Abbazia, come un codice risalente al VIII secolo e i “Lezionari” o “Leggendari” di san Felice di Narco, del XII secolo, le origini dell’abbazia vengono collegate all’avvento del movimento eremitico in Valnerina.

Nell’anno 516, trecento monaci provenienti da Cesarea e Laodicea di Siria giunsero in Umbria per diffondere la fede cristiana nelle aree ancora segnate dal paganesimo. Capo e guida spirituale di questa migrazione è Mauro di Soria (Siria), il più anziano e il più santo che si ritirò in una grotta per condurre una vita eremitica insieme al figlio Felice e alla nutrice.

Alla morte di Felice e della nutrice, avvenuta il 16 giugno 535, Mauro fece costruire in onore del figlio una piccola chiesa con un attiguo monastero, venendo ordinato abate dai monaci che si ritirano nel piccolo cenobio, a cui diede la regola benedettina.Venti anni più tardi, nello stesso giorno del figlio, anche Mauro lasciò questa terra e il luogo da lui fondato, destinato a crescere in fama e grandiosità nei secoli avvenire, fino alla riedificazione della chiesa annessa al monastero, avvenuta alla fine del XII secolo. 

Il drago del Nera: la leggenda del Pestiferus Draco

Il racconto più celebre legato alla vita dei santi Felice e Mauro ruota attorno a una creatura mostruosa che infestava la valle: un dragone che divorava chiunque osava avvicinarsi e uccideva a distanza con il suo alito pestilenziale. Gli abitanti, stremati, chiesero ai due eremiti di liberarli dalla creatura.

Dopo lunghe preghiere, un angelo annunciò a Mauro che il favore divino lo avrebbe guidato nell’impresa. Così, dopo aver chiesto alla nutrice di preparargli un pasto a base di cavoli cotti, il santo raccolse il suo bastone di pino e uno strumento per tagliare la roccia. Piantò il bastone, che miracolosamente mise radici, e iniziò a spaccare la roccia. Risvegliato dal frastuono, il drago – preannunciato da un terribile fetore – emerge dalla grotta.

Da questo momento le versioni della leggenda divergono: alcune riportano che fu Mauro a sferrare il colpo mortale, in altre fu Felice che raggiunse il padre e, “come un novello Davide contro Golia”, decapitò la bestia. Il corpo fu gettato nel Nera, sanguinò per tre giorni e tre notti tingendo di rosso anche le acque del Tevere. 

Oltre la leggenda: simbologie e interpretazioni

Oltre al fascino narrativo, l’uccisione del dragone cela più un duplice valore: rappresenta simbolicamente sia il paganesimo sconfitto dal cristianesimo, sia le difficili condizioni ambientali della valle. Nella storia dei santi vissuti in Valdinarco prevale certamente quest’ultimo aspetto.

Il “drago”, metafora dello stesso fiume Nera che a causa di sbarramenti naturali (la grotta), ristagna e impaluda la zona favorendo le febbri malariche e rendendo l’aria irrespirabile e malsana, come l’alito di un drago. Il bastone di pino che germoglia tra le mani di san Mauro diventa simbolo di purificazione dell’aria, mentre il taglio della roccia allude a un’opera di bonifica. Anche il pasto di cavoli consumato da Mauro prima della sfida, secondo la tradizione, allude alle proprietà antiscorbutiche della pianta.

Così, i santi Felice e Mauro si affermano come viri dei” civilizzatori: la loro opera non si limita alla “bonifica” delle anime, ma sono coloro che riescono a liberare le genti della valle dalla piaga della palude e delle sue malattie

Acque miracolose e devozione popolare

Accanto alla leggenda del drago, la tradizione lega i due santi a una sorgente considerata miracolosa, che si riteneva sgorgata proprio nel punto in cui Mauro aveva inciso la roccia. Intorno ad essa si intrecciarono nei secoli passati racconti di prodigi: se l’acqua stagnante (il drago della leggenda) causava febbri malariche, così quella che nasceva nella sorgente, se bevuta con fede, era in grado di curare la febbre.

Tra le donne era anche usanza lavare il capo dei loro figli per liberarli dalla scabbia. Al di là della fede, le acque hanno caratteristiche leggermente sulfuree, dunque curative per le malattie della pelle. Ancora nel XVIII l’acqua sgorgava direttamente da una cavità nel presbiterio della chiesa, chiusa da una grata di ferro, che fu spostata all’esterno dai monaci per la cattiva fama che si era conquistata.

In un volume del 1458 sulle arti affabulatorie degli abitanti della Valnerina, si viene a conoscenza che le abluzioni con l’acqua fossero gestite dai Lotores, dei ciarlatani che promettevano alle madri che i loro figli, bagnati dalle prodigiose acque di san Felice, sarebbero miracolosamente cresciuti forti e sani. Ovviamente, il miracolo era garantito solo in cambio di un lauto pagamento, che poteva essere corrisposto in denaro, o piuttosto offrendo direttamente le migliori vesti dell’aspirante miracolato. 

La facciata: la leggenda scolpita sulla pietra

La superba facciata romanica della chiesa, con il rosone centrale incorniciato ai vertici dalle figure di quattro evangelisti sotto l’Agnus Dei che, secondo la tradizione orale, volge lo sguardo nel luogo dove è sepolto un tesoro, racconta alcuni degli episodi della vita dei due monaci eremiti.

Partendo da sinistra:

  • La grotta: il primo elemento raffigura la dimora del drago, una grotta raffigurata all’interno di una roccia a concrezioni mammellonari, che raffigura la roccia sedimentaria presente in questa zona, su cui è costruita la stessa abbazia, chiamata pietra sponga.
  • Uccisione del drago: segue una figura alata più piccola delle altre, un angelo che assiste san Mauro, raffigurato nell’atto di decapitare il drago con la scure.
  • Vita esemplare di san Felice: nella sua breve vita, Felice visse una vita esemplare, in comunione con gli angeli. È infatti rappresentato in preghiera e accanto a due figure alate.
  • Scena di miracolo: san Felice riporta in vita l’unico figlio di una madre vedova 

L’austero ambiente interno: una navata che incornicia un imponente presbiterio

L'interno della chiesa è a navata unica che termina con il presbiterio a cui si accede da una scalinata in pietra composta da sette gradini, delimitato da plutei cosmateschi ornati da decorazioni a mosaico.

Le pareti, quasi completamente spoglie, conservano alcuni degli affreschi originali:

  • Due santi sauroctoni: una figura di cavaliere, identificata con lo stesso san Felice, e san Michele Arcangelo che regge con una mano la bilancia della giustizia divina, nell’altra scaglia la lancia verso un drago demoniaco
  • Adorazione dei Magi: realizzato da un pittore ignoto della prima metà del XV secolo, colpisce per personaggi in abiti di cavalieri medievali, con speroni e guanti da falconiere, e animali singolari come cammelli e una scimmia
  • Cristo benedicente e Angeli: l’affresco, della metà del XV, è presente nella calotta absidale ed è attribuito al Maestro di Eggi

A testimonianza dell’antichità del luogo, nel piano pavimentale sono inserite come materiali di reimpiego due epigrafi romane e una paleocristiana, oltre alle lastre tombali dei Medei e dei Campani, tra le più importanti famiglie di Castel San Felice. 

La cripta con il sepolcro dei santi fondatori

Due stretti e angusti passaggi laterali posti sotto alla scalinata dell’altare, conducono alla piccola criptasotterranea. Un ambiente austero, con volte sorrette da una colonna centrale e tre piccole absidi.

Questa fu forse il primo edificio sacro costruito dalla comunità cenobitica che si riunì intorno alla figura di san Felice: qui è conservato il sarcofago in pietra rosa che, secondo la tradizione, si dice abbia accolto le spoglie mortali dei due santi e della nutrice.

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