La storia
I lavori di scavo condotti nel tempo hanno confermato il ruolo di quest’area riportando alla luce il sito di un cantiere navale romano – sorto probabilmente durante la prima guerra punica, quando i romani ebbero bisogno di predisporre una grande flotta da guerra per affrontare Cartagine – proprio nelle vicinanze del porto, i resti di una vasca a uso termale datati al II secolo d.C. e un mosaico a tessere risalente all’età imperiale.
Tra il XIV e il XVI secolo invece nacque il borgo, edificato soprattutto sotto la spinta della famiglia Silori, una delle più importanti casate di Narni, che qui aveva forti interessi agricoli e fece costruire le abitazioni destinate ai contadini e agli artigiani che lavoravano per loro.
Senza dubbio l’abbondante presenza di acqua, sia per il fiume sia per le sorgenti della zona, ha favorito l’economia di Stifone che infatti, fin dal Medioevo, vantava una grande concentrazione di mulini, tra cui la più famosa Mola Alberti.
Altre attività di rilievo in tal senso hanno caratterizzato questo territorio: la ferriera pontificia, costruita nel 1707, dove veniva raffinato il minerale estratto dal Monte Santa Croce, e le gualchiere, attive tra il XIV e il XVIII secolo, nelle quali si procedeva alla follatura della lana (un processo che permetteva di rendere più compatte le fibre): iscritte alla corporazione dell’Arte della Lana, arrivarono a essere ben nove nel XVI secolo, tramandando i segreti del mestiere di padre in figlio.
Anche in epoca più recente l’acqua ha rappresentato un elemento distintivo: proprio sulle cascate di acqua sorgiva di Stifone nel 1892 vennero messe in funzione due delle prime centrali idroelettriche d’Italia, che servirono tra l’altro a dare luce a Narni.
Nel primo dopoguerra è cambiato l’assetto socio-economico dell’area, ma è rimasto vivo il rapporto di simbiosi tra Stifone e il Nera che, con le sue acque azzurre, lambisce gli antichi opifici.
Cosa vedere
Avvicinandosi al fiume, si incontrano nei pressi di una grotta una sorgente, dove resta ancora la pompa che veniva utilizzata per prendere acqua, e antichi lavatoi che gettano acqua sorgiva. Qui le sorgenti sono ancora numerose, anche se molte ormai sono sommerse dall’invaso artificiale che dal 1939 alimenta la centrale ex-Valdarno: la loro presenza è resa evidente dalle sfumature di azzurro che regalano alle acque del fiume.
Sopra Stifone rimangono anche i ruderi dell’Eremo di Santa Betta o Monastero di San Giovanni: la volta, il transetto, l’abside e l‘ingresso della chiesa, oltre alle cisterne per l’acqua.
Il borgo ha mantenuto il suo nucleo caratteristico con le case risalenti al periodo compreso tra il ‘300 e il ‘600. Due piazzette all’ingresso fanno da cornice alla Chiesa di Santa Marina con il suo portale in cotto e il campanile a vela. Sulla parete sinistra, dove è posizionato il campanile, si apre un altro portale che, per dimensioni e lavorazione, probabilmente in passato era l’ingresso principale della chiesa, che intorno al XVII secolo deve essere stata modificata e ampliata con l’aggiunta di due campate. L’interno a navata unica con volte a crociera conserva un fonte battesimale, un’acquasantiera e un tabernacolo in legno degni di nota.
Tra i dipinti e gli affreschi conservati, una tela sul lato destro del presbiterio, raffigurante la Trinità che incorona la Vergine, richiama la leggenda legata a Santa Marina, qui riportata con il piccolo attribuitole come figlio. La storia narra, infatti, che Marina fosse entrata in convento travestita da uomo; girando per fare la questua si fermò in una locanda dove la figlia dell’oste era rimasta incinta di un soldato: la ragazza incolpò della gravidanza proprio “Marino” che venne quindi cacciato dal convento. Il bimbo, una volta nato, venne affidato a Marino che lo fece crescere come suo figlio. Riammesso al convento, fu sottoposto alle fatiche più pesanti, tanto da morirne: solo quando venne seppellito, si accorsero che in realtà era una donna e Marina venne subito venerata come Santa.